Tra i cinque film sull'ambiente da vedere
Panorama

Plastic River è un documentario incentrato sull’impegno annuale di un ragazzo milanese, che a bordo del suo kayak risale i laghi e fiumi lombardi ripulendoli dai sempre più frequenti rifiuti di plastica.
L’ intento di questo viaggio è stato quello di valorizzare la bellezza dei luoghi, presentandola in antitesi agli scorci di degrado che il problema plastica e il disimpegno ambientale hanno contribuito a creare, stimolando una presa di coscienza dello spettatore.
Il tema infinitamente grande dell’inquinamento da plastica emerge nel racconto di una storia intima, intrecciando le informazioni scientifiche al percorso personale di un ragazzo, un archeologo dell’ordinario che recupera le tristi tracce che come esseri umani stiamo lasciando sull’intero pianeta.

SCOPO DOCUMENTARIO

Lo scopo del documentario è quello di sensibilizzare il maggior numero di persone sul reale ed immediato problema dell’inquinamento da plastica e su come questo stia deturpando le nostre acque e il nostro territorio.
L’emergenza, che finalmente sta trovando spazio anche a livello mediatico con buona risonanza, ha bisogno di soluzioni immediate.
Decisivo sarà il contributo della politica e delle grandi aziende che devono attuare soluzioni su larga scala, come eliminare i tanti prodotti usa e getta ed incentivare le attività di riciclaggio. Altrettanto fondamentale sarà una maggiore sensibilizzazione del rispetto civico e ambientale del singolo cittadino.
Ancora troppe volte l’inquinamento da plastica viene associato nell’immaginario collettivo a realtà distanti da noi, ma seppur con rapporti diversi anche l’Italia è severamente interessata da questa piaga e abbiamo voluto raccontarne gli effetti sul nostro territorio.

IL PROBLEMA

Dal 1950, periodo in cui è iniziata la vera escalation della produzione di plastica, si stima siano stati prodotti 8,3 miliardi di tonnellate di questo materiale, 6,3 miliardi dei quali sono rifiuti. E, di questi rifiuti, 5,7 miliardi di tonnellate non sono stati riciclati.
Nel 2015 Jenna Jambeck, docente di ingegneria alla University of Georgia, ha pubblicato una stima approssimativa di quanta plastica non riciclata finisca in mare. Si parla di una cifra compresa tra i 4,8 e i 12,7 milioni di tonnellate all’anno, calcolando solo la plastica che si riversa in mare dalle regioni costiere (Fonte: National Geographic). La maggior parte di questi rifiuti non proviene da navi, ma viene abbandonata tra fiumi, laghi per poi raggiungere mari e oceaniIl tempo di decomposizione è ancora oggi un’incognita, le stime vanno da 450 anni a mai. Il problema si riversa sulle specie animali, è stato accertato che 700 (alcune di queste a rischio estinzione), hanno già iniziato a subirne gli effetti. Ad oggi si sta studiando l’impatto delle microplastiche sulle persone.

STORIA

Molti di voi conosceranno la storia di quelle paperelle gialle naufragate per sbaglio dalla nave che le trasportava.
Grazie a questi giocattoli e il loro incredibile viaggio gli scienziati migliorarono le conoscenze riguardo lo studio delle correnti e indirettamente acquisirono informazioni sull’inquinamento degli oceani.
Le mie paperelle furono un’escursione domenicale con il mio amico Tiberio, appassionato kayakista da ormai più di una decade.
Durante le nostre pagaiate l’osservai più volte avvicinarsi a canneti ed isolotti per recuperare spazzatura di ogni genere.
Mi spiegò che negli ultimi anni aveva iniziato a prestare maggiore attenzione allo stato dei luoghi che era solito frequentare, e che durante ogni escursione recuperava una discreta quantità di rifiuti, specialmente bottigliette e contenitori di plastica.
Mi accorsi come da dentro laghi e fiumi si godesse di uno spettacolo spesso invisibile agli occhi di chi osserva dalla riva o dal molo, e di come anche riserve meravigliose e posti insospettabili iniziassero ad essere colpiti dal degrado. Le Torbiere del Sebino non sono che un triste esempio.
Da quel giorno iniziai a documentarmi sul problema, ad approfondire un tema che avevo solo sfiorato superficialmente fino a scoprirne dati inquietanti.
Furono diverse informazioni come l’enorme quantità di rifiuti plastici prodotti quotidianamente e la misera percentuale di quelli riciclati, le microplastiche e gli studi iniziati per scoprirne gli effetti su animali ed esseri umani a coinvolgermi e accendermi un campanello d’allarme, che culminò con la richiesta a Tiberio di poter documentare le sue escursioni.

NOTE DI REGIA

Ho scelto di raccontare il viaggio di Tiberio senza enfatizzarne le gesta o alterarne l’operato, ad esempio non trascinandolo in luoghi dove potessimo incontrare volutamente rifiuti in grande quantità.
L’obbiettivo fin da subito è stato quello di valorizzare la bellezza della natura e dei posti che un ragazzo in kayak avrebbe scelto per il suo itinerario, presentandolo in antitesi allo scempio dell’inquinamento.
Il disimpegno ambientale e il degrado sono elementi che certamente abbiamo voluto evidenziare, ma la priorità è sempre stata raccontare la relazione tra Tiberio e la natura che per tanti anni ha accolto lui e il suo kayak. Proprio questo legame lo ha spinto a preservarne l’integrità.
Abbiamo cercato di muoverci in un tema infinitamente grande raccontando una storia piccola, intrecciando le informazioni scientifiche al percorso personale di un ragazzo, un archeologo dell’ordinario che recupera le tristi tracce che come esseri umani stiamo lasciando sull’intero pianeta.
Una moderna figura di cercatore d’oro, dove però il tesoro è ormai reperibile ovunque, anche lontano dal mondo artificiale e urbano che gli appartiene.
Abbiamo immortalato un gesto semplice come raccogliere qualcosa che non dovrebbe nemmeno essere gettato, perché è dietro la vastità e la complessità di questi temi che ci siamo nascosti sentendoci impotenti e costruendoci un perfetto alibi fatto di passività ed indifferenza.
Nessuna corsa all’oro, nessuna ricompensa, solo la gratificazione di aver scelto la direzione giusta.

IL RUOLO DI CHORA

Avevamo una storia, avevamo la voglia di raccontarla ma dovevamo mettere insieme un team di persone che potesse collaborare per la riuscita del progetto. Qui entra in scena Chora, associazione culturale per la salvaguardia dei beni culturali e del paesaggio, che dopo essere venuta a conoscenza del concept di Plastic River ne rimane affascinata e decide di sposarne i valori.
Tramite l’associazione riusciamo ad entrare in contatto con altri creativi e professionisti dell’audiovisivo, ma non solo.
Avevamo infatti bisogno di persone che si occupassero sul campo del documentario, ma anche di chi lo riuscisse a promuovere per arrivare a più persone possibile e coinvolgerle nella campagna crowdfunding.
Non solo compositori, operatori e doppiatori entrano a far parte di Plastic River ma anche grafici, fotografi ed illustratori.
La rete di creativi offerta da Chora ci permette di iniziare a lavorare sul progetto autofinanziandoci con un modesto budget e realizzare un trailer fondamentale per veicolare il messaggio e raggiungere il primo pubblico.
Grazie alla campagna realizzata a Indiegogo e la generosità di StudioForm troviamo le risorse necessarie per trasformare un breve video in uno short documentary capace di raccontare la storia di Tiberio e veicolarne il messaggio.

MUSICA E SOUND DESIGN

Nella sinossi si evince l’intenzione registica di tutto il documentario: mettere in risalto la presenza di plastica in ambienti apparentemente incontaminati, ma al tempo stesso valorizzare la bellezza naturalistica del territorio lombardo. Da quest’ultima finalità vengono gettate le basi per il trattamento del visivo e del sonoro, un trattamento che vuole catapultare lo spettatore in un eden poco distante dai contesti urbani e che, negli ultimi anni, sta subendo un cambiamento per mano dell’uomo. La modalità di denuncia, infatti, non si sviluppa sotto forma di documentario-inchiesta, cioè focalizzando l’attenzione esclusivamente sul degrado causato dall’inquinamento, ma si concentra principalmente sulla bellezza naturalistica e sul suo fragile equilibrio. Ed è proprio il moderato inserimento di rifiuti nelle immagini che dovrebbe scaturire nello spettatore un attrito bello/brutto, stimolando in lui una presa di coscienza sul problema. D’altronde, per la tipologia di rifiuti riscontrata, la causa è imputabile ad atti incoscienti di singoli individui e non di grandi industrie. Per queste motivazioni sia il sound design che la colonna sonora tendono a restituire una situazione di pace e tranquillità, con l’inserimento, quando la narrazione e le immagini lo richiedono, di momenti riflessivi o leggermente malinconici. Fa eccezione il primo minuto del documentario, costituito da una parentesi introduttiva slegata dal contesto generale. Il materiale grezzo delle riprese era principalmente privo della registrazione audio e, qualora presente, era inutilizzabile sia per l’inadeguata strumentazione utilizzata che per la presenza di rumori (drone, movimenti di macchina, voci ecc.). È stato necessario, quindi, ricreare tutto il paesaggio sonoro nella fase di post-produzione.

Non essendo presente nei luoghi delle riprese e non potendo tornarci in tempistiche ragionevoli, ho dovuto registrare gli ambienti e i dettagli in luoghi differenti, scegliendo opportunamente delle località che avessero un panorama sonoro simile al contesto nel quale si svolge la narrazione. Le registrazioni, a seconda della tipologia, sono state svolte:

– Ambienti: fiume Chovellen (Pelluhue, Cile), Parco del Lavino (Pescara, Italia);

– Dettagli: fiume Chovellen, Parco del Lavino, Studio.

La strumentazione utilizzata è stata un registratore Zoom H6 con microfoni in configurazione XY e MS. 

Il sound design, essendo per un documentario naturalistico, ha l’obiettivo di restituire il paesaggio sonoro più verosimile possibile a quello dei luoghi presenti nelle immagini, cercando di amplificare l’esperienza immersiva dello spettatore, di modo da renderlo un compagno di viaggio di Tiberio.

Sono due, però, i momenti in cui trasgredisce le regole alla base della sua veridicità: nella sequenza a 10.14-10.38 e nel prologo.
Nel primo caso il suono viene quasi azzerato per lasciare alla musica il compito di descrivere le meravigliose riprese in timelapse.
I dettagli sonori e, quindi, anche la presenza umana, vengono eclissati dalla bellezza e dalla vastità della natura.
L’unico elemento che non lascia il terreno al silenzio assoluto è la presenza sonora delle rane, ma a volume decisamente più basso rispetto alle inquadrature che precedono e seguono questa sequenza.
L’obiettivo era quello di creare una situazione onirica nella quale la musica potesse accompagnare da sola l’eleganza di questi quadri dinamici.

Nel secondo caso, infine, il sound design è totalmente assente e le immagini non hanno un corrispettivo sonoro.
La pagaiata, simbolo della storia di Tiberio, è l’unico suono inserito in un progressivo crescendo dinamico, che ha il suo apice sull’apparizione del titolo del documentario. In questo primo minuto di montaggio la natura non ha voce, la sua armonia è danneggiata dalla presenza della plastica: una presenza apparentemente innocua, ma che non rientra nel normale equilibrio delle componenti naturali.
Il suono in avvicinamento della pagaiata, anch’esso di provenienza artificiale, rappresenta – col senno di poi – la lotta di un uomo contro l’azione scelerata di altri uomini e accoglie l’entrata in scena del personaggio.

Contributo scritto realizzato da Giorgio Labagnara.

LE LOCATION

Di seguito la mappa che indica le location dove è stato girato Plastic River.

FESTIVAL E RICONOSCIMENTI
È proprio questo legame indissolubile che permette con un semplice gesto di riconnetterci e lasciare che questa bellezza riprenda a scorrere in noi. Convincendomi che è ancora troppo presto per sventolare bandiera bianca, venendo meno alle responsabilità sulle tracce che stiamo lasciando

Starring: Tiberio andrea cacamo, andrea piovan
CREW: MANUEL CAMIA, MARTINA DAEDER, EMANUELE AGOSTI, GIORGIO LABAGNARA, MARCO TAGLIABUE, ERNESTO ANDERLE, RICCARDO TESTA, LUCA NEGRI